L’art. 73, d.P.R. n. 309/1990 sanziona la condotta di detenzione di sostanza stupefacente a fini di spaccio, distinguendo le pene per le droghe pesanti (da sei a venti anni di reclusione, comma 1) e per le droghe leggere (da due a sei anni di reclusione, comma 4). Si tratta di uno dei reati più frequenti nella pratica giudiziaria, non soltanto per la nota diffusione delle droghe, ma anche per la difficoltà ricorrente di distinguere con certezza la detenzione volta ad un uso personale – non penalmente rilevante – da quella destinata alla cessione a terzi.
Sono frequentissimi, infatti, i casi in cui anche il semplice consumatore subisce il processo penale per il possesso di un quantitativo di sostanza stupefacente compatibile con un utilizzo prolungato nel tempo, eppure ritenuto comunque meritevole di approfondimento giudiziario. La conseguenza è che, in ogni caso, il consumatore diventa indagato o, peggio ancora, imputato laddove l’autorità giudiziaria non intenda archiviare, già nella fase delle indagini, la notizia di reato.
Qualsiasi avvocato penalista potrà raccontarvi il variegato panorama di esperienze nei giudizi di detenzione a fini di spaccio, molte volte influenzati – come è inevitabile – dalle personali convinzioni degli operatori del sistema giustizia.
Certo è che occorre sempre una difesa attenta ai particolari, perché sono proprio essi – il più delle volte – a qualificare la contestata detenzione nel semplice illecito amministrativo.